Al via il progetto “Mani in pasta” per una cucina di inclusione, promosso dalla parrocchia San Pietro Apostolo di Moiano (BN) e da altre associazioni presenti sul territorio. Il CMR/Neuromed è presente per supportare i ragazzi speciali nel trovare le strategie più efficaci per avere “mani in pasta”.
Di seguito intervistiamo Roberto Massaro, uno degli ideatori del Progetto.
Di cosa si occupa il progetto “Mani in pasta”?
E’ il primo corso pratico di cucina riservato a ragazzi con disabilità affiancati da ragazzi normodotati. In altre parole un corso pratico di cucina di inclusione che si sviluppa in 15 lezioni con frequenza settimanale tenuto da docenti cuochi, cake designer, pasticceri, maestri pizzaioli. Si svolge a Luzzano di Moiano nei locali della scuola elementare ed è un progetto aperto a ragazzi della Valle Caudina. In tutto sono 24 allievi. L’inaugurazione del corso c’è stata il 22 gennaio alla presenza di Sua Eccellenza il Vescovo Don Mimmo Battaglia, tanta gente, sei sindaci della Valle Caudina (dei comuni di Moiano, Airola, Limatola, Bonea, Bucciano, Sant’Agata de’ Goti che hanno consegnato la divisa di cuoco al proprio concittadino partecipante al corso.
Come è nata l’idea del progetto “Mani in pasta”?
L’idea è nata subito dopo l’estate in ambito parrocchiale. Il 4 settembre a Moiano c’era stata una bellissima iniziativa nel campo della disabilità. La parrocchia di San Pietro Apostolo aveva organizzato una giornata di “Giochi senza frontiere”, giochi di inclusione riservati a tutti i ragazzi, qualunque fosse l’abilità o la “diversa abilità”. Il CMR Neuromed aveva collaborato attivamente per la riuscita della manifestazione. Da questa idea abbiamo pensato che l’inclusione non deve essere un appuntamento sporadico ma un modo di vivere.
Perché proprio un corso di cucina?
Un posto vale l’altro – afferma sorridendo – ma mi spiego meglio: l’ambito sociale in cui si fa inclusione è secondario. Però la cucina ha un suo fascino perché gli spazi sono ristretti, i tempi rapidi, il capirsi anche solo con lo sguardo diventa fondamentale, l’inclusione si tocca con mano.
Quali obiettivi vi prefiggete?
Vogliamo creare la possibilità di imparare qualcosa che può essere anche utile nella vita. Vogliamo avvicinare le persone diversamente abili al lavoro cooperativo e al confronto. Vogliamo creare la possibilità di acquisire autonomia relazionale e comportamentale per sviluppare la creatività di tutti i ragazzi. Con la possibilità di promuovere un rapporto equilibrato con il cibo, di distinguere i sapori e gli odori, di maneggiare in modo adeguato gli utensili da cucina, di svolgere in successione le attività seguendo in modo ordinato la ricetta, di rispettare il bene comune, di sviluppare la capacità di osservare e descrivere. Ma l’obiettivo principale è fare inclusione tra ragazzi con disabilità e ragazzi normodotati: in due parole STARE INSIEME. E far germogliare un sorriso sui volti di ragazzi e genitori.
Come vi finanziate?
E’ un progetto “a costo zero”. Le spese sono coperte da contribuiti di associazioni del territorio e da contributi volontari deli allievi. Organizzatori, docenti, terapisti, collaboratori sono tutti volontari. E questa è sicuramente una delle cose più belle del progetto.
Ci sarà un prosieguo?
E’ sicuramente un progetto pilota, che serve a verificare la risposta del territorio. Ma l’obiettivo finale è dare continuità nei prossimi anni con un numero sempre maggiore di allievi.







